Strategie per aumentare la resistenza a stress abiotici (carenza di acqua, iposalinità, temperature estreme, anossia, elevate concentrazioni di metalli pesanti ecc.)

Per alcuni tipi di stress è stato individuato il ruolo chiave di alcuni composti (ad es. l’ABA nello stress idrico, e fitochelatine per chelare metalli pesanti fitotossici), ed è stata studiata l’espressione di stress genes ed il relativo accumulo di stress proteins. Le vie di sintesi ed i composti accumulati spesso sono analoghi a quelli osservati per gli stress abiotici (es. fitoalessine e PR proteins), forse per una coevoluzione tesa a semplificare il sistema di risposta a stimoli ambientali o a proteggere preventivamente la pianta indebolita. Gli stress abiotici riducono significativamente la resa e contribuiscono al divario tra resa potenziale e resa media effettiva( in alcune colture quest’ultima è 1/3 della resa massima), poiché riducono direttamente la biomassa. Nella maggioranza degli stress si verifica un induzione di geni specifici. Tra i più studiati vi sono gli stress termici e quelli idrici. Sono state trovate proteine indotte da stress termico, che si accumulano un ora dopo lo stimolo, con peso molecolare tra i 90 e i 15 kDa (specialmente quelle a basso peso molecolare per le alte temperature e ad alto peso molecolare per le basse temperature). Per la tolleranza a stress salini, spesso l’unica via economicamente praticabile è quella dell’ingegneria genetica. Purtroppo però c’è una carenza di geni di tolleranza disponibili, e l’evidenza che i meccanismi di resistenza a questo stress sono molto complessi (anche più complessi della resistenza a patogeni). Si parla di stress ionici (causati principalmente da sodio e cloro e alti valori di pH del terreno) e di stress osmotici (mancanza di acqua, ecc.). Le piante si definiscono glicofite o alofite a seconda se sono tolleranti (alofite) o sensibili (glicofite) ad alte concentrazioni di Sali. Le specie alofite possono tollerare concentrazioni saline elevatissime (anche due volte quella dell’acqua marina) e rappresentano delle ovvie sorgenti di geni di tolleranza. Tuttavia anche le glicofite possono abituarsi ad alte concentrazione di NaCl se esposte a concentrazioni crescenti gradualmente, e quindi dimostrano di possedere anch’eese geni di tolleranza. Purtroppo questo adattamento porta normalmente a una riduzione di tratti agronomici importanti e ad una resa più bassa. Una strategia utilizzata fin’ora è stata quella di modificare l’espressione dei geni di tolleranza a stress osmotici già presenti in alcune glicofite ben caratterizzate geneticamente, modificandone la regolazione.

Approcci basati su:

Analisi biochimica: si parte dalla conoscenza che un particolare enzima e/o via biochimica sono importanti per la tolleranza a stress salino; ad esempio si sa che osmoliti quali prolina betaina e polioli sono importanti per proteggere le strutture cellulari dal danno causato da questo tipo di stress, per cui gli enzimi che li producono possono essere considerati geni di tolleranza a stress da utilizzare per l’ingegneria genetica di colture seguendo le procedure più comuni.

Analisi del profilo di espressione: è al momento l’approccio più popolare; prevede una comparazione tramite tecniche differenziali o sottrattive dei profili di espressione genica in presenza e assenza di stress, e il clonaggio dei geni specificamente espressi. Una recente variazione è il sequenziamento su larga scala di EST’s(espresse sequence tags) da librerie indotte da stress, e l’uso di DNA microarray o chips ( specialmente quando l’intero genoma di una specie è stato sequenziato). Bisognerà vedere se i geni più importanti per la tolleranza sono di fatto espressi specificamente in risposta a stress e se i geni clonati con questo approccio sono invece espressi solo come conseguenza di un danno osmotico.

Analisi genetica funzionale: con l’uso di mutanti difettivi o distrutti e di super-espressione o sotto-espressione si può definitivamente stabilire se un gene è importante per la tolleranza a stress salini; questo approccio utilizza variazioni naturali o indotte in piante modello come l’Arabidopsis e la successiva applicazione di mutanti più o meno tolleranti ai Sali come strumento per identificare i geni modificanti della mutazione.

Uno dei casi più studiati è quello dei geni SOS (salt overlay sensitive) di Arabidopsis. Sono stati ottenuti ed identificati 44 mutanti sos e cinque geni SOS, che si sono dimostrati necessari per la tolleranza all’abbondanza di sodio, stimolando l’assunzione di potassio e la rimozione del sodio dalla cellula (il mediatore è il calcio, che può essere usato infatti per ridurre gli effetti di stress da sodio). Questi geni SOS però non appaiono essere importanti per la resistenza a stress osmotici. Un altro caso riguarda il ruolo dell’ABA negli stress dovuti a mancanza di acqua e alle basse temperature. Si è notato che il trattamento con ABA induce alcuni, ma non tutti, tra i geni che si attivano in risposta a questi due tipi di stress. Questo ha indicato che esistono sistemi di trasduzione del segnale diversi che rispondono o meno ad ABA. In Arabidopsis sono stati identificati dei fattori coinvolti nell’espressione di molti geni che rispondonoad entrambi i tipi di stress. Questi geni sono conosciuti come rd (responsive to dehydration), erd (early responsive to dehydration), cor (cold-regulated), lti (low-temperature induced), kin (cold-inducible), e l’overespressione di alcuni di essi ha prodotto piante tolleranti a questi stress (anche se in alcuni casi questa resistenza era associata ad una crescita ridotta). Sono stati anche isolati dei mutanti eskimo di Arabidopsis molto tolleranti al freddo, e si è visto che questi accumulano prolina (protegge gli acidi nucleici e proteine, detossifica da ROS e protegge da sbalzi osmotici) ma non calcio intracellulare (come per la resistenza a sodio); sono stati quindi ottenute piante transgeniche resistenti al freddo che overproducono prolina (usando un antisenso della prolina deidrogenasi per favorire l’accumulo di questo amminoacido). Dallo studio di questi sistemi si è dimostrato che ABA ha un ruolo determinante negli stress da mancanza di acqua ma non in quelli da basse temperature. Per quanto riguarda i geni per la tolleranza alle alte temperature, ben conosciute sono le cosi dette heat shock proteins, sono stati ottenuti e caratterizzati dei mutanti di Arabidopsis incapaci di acquisire la termo tolleranza che mostrano normalmente le piante. Sono stati trovati quattro geni denominati hot-1, hot-2, hot-3, e hot-4, e si è visto che uno di questi codifica per una heat shock protein nota come Hsp101 (non funzionale nei mutanti a causa di una singola mutazione nel dominio ATPasico) che è necessaria per la termo tolleranza in batteri e lieviti. Questo difetto poteva essere corretto trasformando questi mutanti con il gene originario non mutato.

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